Voi che leggete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate uscendo al mattino
l'edicola e il giornale:
considerate se questo è un giornalista
che lavora nel fango
che non conosce ore
che lotta per un articolo
che scrive per otto euro.
venerdì 28 novembre 2014
martedì 25 novembre 2014
Concorrenza "sleale"
Carta e internet. Due mondi dell'informazione antitetici, in concorrenza, ma impari. Mentre per comperare il giornale bisogna uscire di casa, recarsi in edicola e sborsare quasi un euro e mezzo, per leggere un giornale web basta accendere il pc senza sborsare un centesimo. Ma la differenza non sta solo nella gratuità, anzi probabilmente si tratta dell'aspetto meno importante, ci sono anche tanti free press. La discriminante a mio avviso sono i contratti di chi opera per le testate tradizionali e i contratti – o meglio i non contratti – di quanti prestano servizi nei vari giornali online, sebbene regolarmente registrati in tribunale.
Il mio editore infatti mi ha assunto,
contrattualizzato, inquadrato professionalmente per la mansione che
svolgo e per me paga contributi e oneri. Tanti di coloro che invece
lavorano in giornali telematici proseguono a co.co.co., co.co.pro,
partite Iva, nonostante fungano contenmporaneamente da collaboratori,
corrispondenti, redattori, caposervizio, grafici e tipografi. E così
il confronto non regge.
Tutto regolare a quanto pare per
carità, ma non va bene lo stesso. Non capisco infatti perchè un
editore che investe nei media canonici e con esso i suoi dipendenti
debbano sottostare a precise e spesso costose regole, mentre chi
punta sull'informazione virtuale no, pur trattandosi spesso appunto
di organi di stampa registrati in tribunale. E' roba da concorrenza
cinese, con tutto il rispetto per i cinesi e i colleghi dell'online a
cui spesso tutti noi attingiamo per riproporre notizie che corrono in
rete, trovate e scritte proprio da questi colleghi
E non capisco perché il nostro
sindacato su questo tema non sia mai intervenuto: si ridurrebbe il
precariato, si recupererebbero risorse per gli istituti
previdenziali, si garantirebbe finalmente parità di trattamento.
Perché giornalista lo è chi svolge questa professione,
indipendentemente da dove si scriva... Perché il lavoro è reale,
sempre, e anche gli articoli che si scrivono e i servizi che si
propongono.
domenica 23 novembre 2014
Nominano il generale, congedano i soldati
Ragionando con uncollega ho compreso forse perché sia stat nominato direttore editoriale di un noto giornale il dottor Bruno Vespa, di cui non si mette assolutamente in discussione la professionalità né la capacità di trainare le testate che dirigerà dall'1 dicembre fuori dal pantano della crisi dell'informazione cartacea, certamente io non lo faccio. Si ragionava e si pensava con questo collega che magari, dopo anni e anni di collaborazione, abbiano deciso di regolarizzare la sua posizione, nonostante abbia ormai valicato la soglia delle settanta primavere e goda, si presume, di un'appropriata e meritata pensione
Ma c'è chi può e chi non può...
Peccato infatti non siano stati in
qualche modo regolarizzati o stabilizzati quei corrispondenti e quei
redattori con contratto a termine che al contratrio sono rimasti a casa, nonostante gli anni di più che onorato servizio, nonostante
tutti i giorni da lustri contribuiscano in maniera determinante
all'uscita dei del medesimo giornale in edicola, nonostante probabilmente con il
compenso del nuovo direttore editoriale già pensionato si sarebbe
potuto pagare almeno quattro o cinque – per stare basso – dei
loro stipendi.
E così si nomina un nuovo generale, ma senza esercito, perché i soldati, i fanti li si congeda con un semplice “è stato bello, arrivederci”, senza nemmeno un grazie.
Temo pagherò tutto questo, non
importa, non sarebbe la prima volta, è già successo, ma forse è tempo che tutti ci mettano
faccia e chiappe, il nostro di volto, il nostro di sedere. Per provare
almeno a cambiare l'andazzo: le nostre battaglie dobbiamo combatterle
noi per primi.E così si nomina un nuovo generale, ma senza esercito, perché i soldati, i fanti li si congeda con un semplice “è stato bello, arrivederci”, senza nemmeno un grazie.
venerdì 21 novembre 2014
C'è qualcosa che non va...
“C'è qualcosa che non va in questo cielo...” recita una canzone del mitico Blasco Vasco Rossi del 1987.
Già, c'è qualcosa che non va....
Quando in un'azienda editoriale, che conta già quattro direttori e
sei vicedirettori, viene reclutato un nuovo, un altro direttore
editoriale. Non uno qualsiasi, ma uno di calibro nazionale le cui qualità professionali sono indiscusse come la
probabilmente capacità di fungere da traino e da richiamo per la
testata – le testate – che è chiamato a dirigere, ma che
certamente – e giustamente - costerà pure qualcosa in termine
economici. Tutto ciò mentre ai giornalisti di quelle testate vengono
chiesti continui sacrifici, in termini di incombenze e carichi di
lavoro, in termini di perdite occupazionali – cioè di colleghi -,
in termini di continui straordinari quotidiani, come tempo e come
impegno, non retribuiti e nemmeno apprezzati e valorizzati, in
termine di contratto di solidarietà prima e di cassa integrazione
adesso.
C'è qualcosa che non va... Quando in
un'azienda editoriale i giornalisti vengono cacciati o “esodati”
dalla porta principale beneficiando di pensionamenti obbligatori e
prepensionamenti, pagati da tutti i giornalisti e da tutti i
contribuenti - e successivamente questi stessi giornalisti cacciati o
“esodati” vengono fatti entrare dalla finestra per svolgere il
medesimo ruolo e assolvere le medesime incombenze, quando allora li
si sarebbe potuti/dovuti mantenere in pianta organica rispettando la
loro professionalità e la loro importanza e insieme utilizzando
meglio i denari dei colleghi e dei cittadini.
C'è qualcosa che non va... Quando in
un'azienda editoriale si ambisce a diventare il primo gruppo
dell'informazione nazionale, ma nel contempo si decimano i redattori, si falcidiano i corrispondenti, si annichiliscono i collaboratori quasi che le notizie e la qualità
piovessero dal cielo e non siano invece frutto delle capacità di giornalisti di cui ci si vuole disfare.
Che poi non è neanche solo un'azienda editoriale, sono tante, sono troppe, forse tutte.
Che poi non è neanche solo un'azienda editoriale, sono tante, sono troppe, forse tutte.
Già. “C'è qualcosa che non va in
questo cielo... C'è qualcuno che non sa più cosa è un uomo...”
giovedì 20 novembre 2014
Un manifesto politico, sociale e sindacale
I cinesi dell'informazione
Diventare ancora più invisibili per
cercare di apparire, anzi per tentare di dimostrare e mostrare
l'importanza del nostro lavoro. Con i miei colleghi corrispondenti de
Il Giorno stiamo attuando lo sciopero delle firme, per protestare
contro la decisione del nostro editore di non rinnovare il contratto
a quattro di noi dopo anni di impegno e lavoro e di non riconoscere
il loro diritto meritato e acquisito al posto di lavoro. Ma anche per
denunciare i compensi irrisori: da 2,5 a massimo 13-15 euro per ogni
articolo pubblicato sul giornale cartaceo e da 2,5 a 4,5 per sui
portali internet, roba da "cinesi dell'informazione".
Non apporre la firma né la sigla in
calce agli articoli significa palesare visivamente che senza di noi
quegli articoli, quelle notizie, non ci sarebbero, il giornale
sarebbe più povero, la qualità e la puntualità dell'informazione
più scarne, forse nulle. La firma e la sigla per chi svolge la mia,
la nostra professione significano assunzione di responsabilità verso
i lettori di quello che si scrive, ma anche la fatica, l'entusiasmo,
le relazioni, le fonti, i sacrifici, i chilometri, le ore piccole, le
verifiche, gli approfondimenti, le telefonate... che permettono di
scrivere un articolo.
Temo non servirà a nulla, dai vertici
aziendali non abbiamo ricevuto alcun riscontro, nemmeno un
rimprovero, solo indifferenza e silenzio assordante, come se non
esistessimo appunto. Non importa, in tanti hanno compreso e
condiviso, con noi tanti colleghi redattori e anche tanti
collaboratori - loro che un contratto se pur misero e umiliante
nemmeno lo hanno – hanno compiuto la medesima scelta per
solidarietà e ciò rappresenta comunque un importante
riconoscimento.
Di certo non ci arrendiamo, non ci
fermiamo, non abbiamo più nulla da perdere, se non la dignità umana
e professionale da preservare, per noi e per coloro la cui dignità
professionale e umana è già stata calpestata a oltranza.
martedì 18 novembre 2014
I conti della serva
Non
sto a dilungarmi su concetti come dignità umana e professionale,
equo compenso, stipendio commisurato alla qualità e alla quantità
di lavoro, libertà di informazione, né su cosa comporti scrivere
una notizia, sulle fonti, sulle verifiche, sugli approfondimenti...
Mi limito ad alcune cifre, ai conti della serva, anzi del servo, cioè il sottoscritto.
Per i 125 articoli scritti nel mese di ottobre percepirò una media di 7 euro netti per ogni pezzo pubblicato – pubblicato, perchè quelli commissionati ma non pubblicati non vengono pagati, come se tu ordini dieci pizze e poi ne rispedisci indietro cinque pretendendo di non pagarle -. Per i 50 pubblicati in internet invece si scende a 2,7 euro.
La media complessiva tra articoli per il giornale cartaceo e la versione online diventa 6 euro e rotti centesimi. "That's the press, baby! The press! And there's nothing you can do about it. Nothing!": “È la stampa, bellezza, la stampa. E tu non ci puoi fare niente. Niente”... Già proprio niente...
Mi limito ad alcune cifre, ai conti della serva, anzi del servo, cioè il sottoscritto.
Per i 125 articoli scritti nel mese di ottobre percepirò una media di 7 euro netti per ogni pezzo pubblicato – pubblicato, perchè quelli commissionati ma non pubblicati non vengono pagati, come se tu ordini dieci pizze e poi ne rispedisci indietro cinque pretendendo di non pagarle -. Per i 50 pubblicati in internet invece si scende a 2,7 euro.
La media complessiva tra articoli per il giornale cartaceo e la versione online diventa 6 euro e rotti centesimi. "That's the press, baby! The press! And there's nothing you can do about it. Nothing!": “È la stampa, bellezza, la stampa. E tu non ci puoi fare niente. Niente”... Già proprio niente...
lunedì 17 novembre 2014
Gli invisibili
Per gli editori i corrispondenti, cioè
i giornalisti che sono a caccia di notizie sul territorio, che
rappresentano i giornali sul territorio, che sono i primi ad arrivare
sulle scene di incidenti, omicidi, che scorrazzano per municipi,
caserme, commissariati, bar, nei paesi insomma... non esistono. Gli
rendiamo tanto ma costiamo poco e allora ci ignorano. Ma poiché il
nostro contratto è debole, non ci tutela molto, quando devono far
quadrare i conti, si ricordano che ci siamo. In realtà noi ci siamo
tutti i giorni, tutti i giorni riempiamo i loro giornali e i loro
siti internet, tutti i giorni regaliamo loro per 10 euro lorde
notizie inedite, esclusive o particolari, tutti i giorni contribuiamo
in maniera determinante ai loro giornali, che magari sono in crisi,
magari hanno i bilanci in perdita, magari gli costano, ma che gli
consentono comunque di “controllare” l'informazione e l'opinione
pubblica con quanto ciò comporta come contropartite.
Ecco, siccome noi ci siamo, a Il Giorno
abbiamo deciso di renderci visibili diventando invisibili, cioè non
firmando né siglando i nostri articoli, così gli editori o chi per
essi, notando la mancanza di nomi e cognomi, forse si renderanno
conto che adesso non possono leggere le firme, domani, chissà,
nemmeno le notizie. E magari se ne accorgeranno anche i lettori, che
potrebbero o non comperare più il giornale o mandare email di
protesta agli editori o chi per essi.
giovedì 13 novembre 2014
Ascoltavano la radio delle forze dell'ordine, assolti due giornalisti
Due colleghi de Il Giorno edizione di
Legnano sono stati definitivamente assolti dopo essere stati
denunciati e processati perchè in redazione detenevano i
“famigerati” scanner, le radioline con cui tutti noi cronisti
ascoltiamo le conversazioni in chiaro degli operatori delle forze
dell'ordine. A archiviare definitivamente il caso sono stati i
giudici della V sezione penale della Suprema corte di Cassazione, che
ha respinto il ricorco presentato dal procuratore generale della
Corte di appello di Milano dopo che i togati di secondo grado avevano
confermato l'assoluzione formulata in primo grado. Una buona notizia
per i due colleghi innanzitutto ma anche per tutti noi giornalisti.
Resta da capire perché qualche magistrato abbia deciso di sperperare
soldi pubblici e far spendere denaro ai due giornalisti non per una,
non per due, ma per tre volte. E vorrei anche comprendere perchè io invece sono stato condannato!!! Scherzo naturalmente, almeno sulla
mia vicenda, non sull'accanimento di taluni operatori della giustizia
nei confronti dei giornalisti.
mercoledì 12 novembre 2014
I conti non tornano: 4,5 euro all'ora
La mia ultima busta paga nel “totale
compenso netto a pagare” riporta la stratosferica cifra 1.287 euro
che comprendono due domeniche di turno, 72 articoli scritti per
l'edizione cartacea, una foto fornita sempre l'edizione cartacea e 55
pezzi confezionati appositamente per i portali internet insieme ad
altre 5 foto, che, da soli per il web intendo – mi hanno fruttato
la bellezza di 76,5 euro.
Compiendo qualche operazione, decurtate
le domeniche e il bonus di 80 euro concesso dal beneamato Premier,
ogni articolo – una media di 5 o 6 al giorno sempre sottraendo le
domeniche di “riposo” più alcuni giorni di ferie goduti e un paio di
trasferte a Bologna per motivi sindacali - e ogni fotografia mi sono stati
pagati complessivamente 7,8 euro. Se in realtà si detraggono le
foto, per le quali mi vengono riconosciuti 2,5 euro a scatto, per lo
scrivere, che poi è il mio lavoro, ho incassato 7,96 euro puliti a
pezzo.
Certo, in diversi casi si è trattato di riprendere comunicati stampa o agenzie, una sorta di guadagno facile insomma, non lo nego, ma in molti
altri casi, la maggior parte, quei 9 euro scarsi hanno richiesto nella migliore delle ipotesi
contatti con fonti "coltivate" in anni di relazioni e di fiducia
per diventare tali, chilometri e chilometri in auto o a piedi,
telefonate su telefonate, nottate fuori casa con la tuta indossata in
fretta e furia sopra il pigiama, ore su scene di incidenti o
disastri, sottola pioggia o il sole battente, tempo a scartabellare documenti amministrativi o atti
giudiziari di centinaia di pagine magari su argomenti complessi come
mafia e tangenti, lunghe e pazienti attese, pranzi e cene interrotte
dagli eventi, rischio di querele, persino insulti o aggressioni, interviste non semplici da
sintetizzare, discussioni con politicanti arroganti, serate davanti al pc o con le cuffie del cellulare
infilate nelle orecchie invece che sul divano o accanto al letto dei
figli per augurare sogni d'oro, momenti familiari irrimediabilmente
perduti per sempre perché la cronaca quando arriva arriva come il Natale e non aspetta, senza naturalmente dimenticare i momenti
trascorsi alla tastiera raramente per buttare giù poche righe al volo più spesso per almeno provare quanto meno a fornire allo scritto un senso compiuto, logico e chiaro di vicende complesse.
Mi sono anche dilettato a conteggiare
la tariffa oraria, certamente poco significativa in una professione
come la mia e con un contratto che non prevede vincoli di presenza ma
molto più frequentemente nemmeno garanzie di “pause” comandate perché
si resta perennemente in balia di quello che accade e ad aspettare
quello che può succedere. Ebbene, sommariamente per la vita –
perchè di questo si parla, di esistenza dedicata a una mansione, mia
e di riflesso di mia moglie e dei mie bimbi – trascorsa in servizio
ho incassato 5 euro all'ora: sia bene inteso però, il risultato è
in eccesso, perché verosimilmente si attesta più vicino ai 4,5.
E non è finita qui.
Purtroppo. Il mese prossimo la conta sarà ancora più desolante,
perché sempre per contratto io dovrei garantire 100 articoli al mese
per l'edizione cartacea e quindi mi verrà decurtato il pagamento dei
30 - 28 per la precisione - che sono mancati all'appello. I numeri pertanto si abbasseranno ulteriormente.
Penso che si tratti di risultati non
molto in linea con l'articolo 36 della costituzione che recita che
“il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla
quantità e qualità del suo lavoro”.
Tralasciando i sofismi sulla poco
comprensibile distinzione tra le tariffe “cartacee” e quelle
“online”, dato che un articolo è sempre un articolo, o sulla
formula contrattuale da addetti alla catena di montaggio in nome
della produttività, in tutto ciò forse i denigratori dei
giornalisti potrebbero trovare magari qualche risposta circa i
legittimi dubbi della scarsa qualità dell'informazione e della
libertà di informazione in Italia. Anche perché, nonostante tutto,
io sono comunque tra i fortunati, tra i privilegiati, tra i “salvati”
rispetto ai “sommersi” perché un contratto ce l'ho, il posto
fisso pure, 8 euro ad articolo nel mio settore sono considerati
tanti, addirittura troppi, il mio editore in confronto ad altri paga
meglio e paga puntuale come un orologio svizzero. Quindi non voglio “lamentarmi”, voglio solo riflettere, sarebbe irriverente e irrispettoso dei tanti colleghi collaboratori, co.co.co, co.co.pro, partite Iva più meritevoli e capaci di me con cui ho a che fare quotidianamente che tuttavia il mio stipendio da tutelato se lo sogneranno per sempre.
Quello che è chiaro è che i conti no,
non tornano proprio. Dignità, equità, riconoscimento della
professione sono inversamente proporzionali all'attività
giornalistica, un'equazione impossibile da risolvere. Ma di tutto ciò
in questi anni, da chi avrebbe dovuto rappresentarci a livello
nazionale, non ne ho sentito parlare. Ecco, forse è il caso che si
discuta anche di questo, perché altrimenti si cadrà di nuovo nella
trappola di discutere solo di come facilitare licenziamenti,
prepensionamenti, esodi, ridimensionamenti, riduzione dei costi
invece che di come permettere a chi ha un lavoro di continuare a
tenerselo il lavoro e magari con questo lavoro di provare a camparci
pure.
martedì 11 novembre 2014
Addetto stampa poco addetto
Nella legge di stabilità sono previste
alcune norme che, se applicate, lascerebbero in strada decine di
colleghi che prestano servizio nella pubblica amministrazione. Per i
riferimenti è possibile consultare l'articolo 35, comma 15, relativo
ai rapporti di lavoro costituiti sulla base dell’articolo 90 del
decreto legislativo 18 agosto 2000, numero 267, con il quale tali
contratti verrebbero terminati. Ma come al solito in Italia ci sono
sempre i più realisti del re, che hanno addirittura anticipato i
tempi. Succede a Lecco ad esempio, dove il sindaco e gli assessori
hanno approvato una delibera, la 179 datata 1 ottobre 2014, che
riguarda le “modifiche all'assetto organizzativo sulla rete dei
servizi di informazione, comunicazione e partecipazione. Con tale
atto il ruolo di addetto stampa è stato assegnato a una dipendente
dell'ente, non in possesso dei requisiti perché nemmeno iscritta
all'albo professionale, con buona pace di prevede un'altra legge, la
150/2000. Toc toc, c'è qualcuno? Se c'è batta un colpo per favore.
Io non mi intendo molto di questo argomento, ma sarebbe il caso che
qualcuno più titolato ed esperto di me intervenisse.
domenica 9 novembre 2014
Lo scanner
L'editoriale di Claudio Brambilla su Merateonline mi ricorda che dieci anni fa uscivo sorridente dal
tribunale di Lecco, assolto con formula piena dopo un grottesco
processo che mi ha visto sul banco degli imputati per aver ascoltato
tramite uno scanner – anzi due, perchè con me ne avevo sempre uno
di riserva caso mai si scaricassero le batteria – le conversazioni
in chiaro delle forze dell'ordine e per averne divulgato i contenuti,
che poi significavano incidenti, furti, rapine. Non sapevo quello che
sarebbe accaduto dopo, in una vicenda ancora più assurda di quanto
lo sia stata l'”indagine” che mi ha portato per la prima volta a
sedere dalla parte dei presunti “criminali”, non sapevo cioè che
in Appello sarei stato condannato a un anno e tre mesi di reclusione,
sentenza poi confermata dai giudici della Cassazione, sebbene né in
secondo grado né in Suprema corte qualcuno si fosse degnato di
ascoltarmi e abbiano deciso tutto in poche ore sulla base di
scartoffie...
Considero la condanna una medaglia, un
onore al merito al mio, nostro, impegno, al mio, nostro, inseguire le
notizie a tutti i costi, al mi, nostro, essere presente/i sul
territorio... Ma la considero anche un bel ricordo degli inizi della
mia “carriera”. Forse non provo più rabbia per quello che è
stato solo perché, nonostante il tempo e i soldi spesi – di chi mi
ha pagato l'avvocato cioè Claudio Brambilla, ma anche dei
contribuenti che hanno pagato stipendi di carabinieri, pubblici
ministeri, periti e magistrati, che già tutto ciò meriterebbe
qualche riflessione sul sistema giudiziario e penale nostrano – non
ho trascorso nemmeno un giorno in galera e tutto si è risolto con
una sorta di semplice buffetto, nulla più. Oppure perché ho avuto
il mio piccolo momento di celebrità e un'avventura da raccontare e
di cui vantarmi. O semplicemente perché tanto è inutile farsi il
sangue amaro su ciò che non si può cambiare.
Lo scanner, marca Icom modello Ic-R, comunque l'ho ancora, non
funziona più, come ogni cosa che passa per le mani dei figli, ma
l'ho ancora, accanto alla scrivania, ricoperto di polvere. In dieci anni ho sviluppato
fonti, contatti, relazioni, che mi permettono il lusso di
rinunciarvi, ormai molte informazioni passano da comunicati stampa e note ufficiali.
Il resto lo fa forse pure la paura di finire di nuovo nei guai... Però lo scanner è lì, spesso lo guardo e mi ricorda che quello era ed è il
modo migliore di svolgere questo fantastico mestiere, ascoltando il
gracchiare della selettiva, interpretando i Delta 10 e i Delta 11
(incidenti e incidenti con feriti), l'allarme Romeo (rapina), i Mike
1 (la stazione dei carabinieri di Merate), India (il comandante di
Compagnia), Fiamme (l'elicottero), il primo e il secondo ordinario...Sapete che c'è? Quasi quasi ne compro uno nuovo... in fondo mi ha portato bene!
sabato 8 novembre 2014
Io ci sono
Io ci sono. Lo dico con orgoglio e
insieme con timore perché lasciarsi “giudicare” non è semplice,
il timore di una sconfitta, di non essere votati, di non venire
eletti, inutile negarlo, spaventa e brucia. Non importa, io ci sono,
alle corsa per il rinnovo delle cariche dell'Alg, Associazione
lombarda giornalisti e della Fnsi, Federazione nazionale della stampa
italiana, io ci sono.
Perché non ci si può sempre lamentare
di ciò che non funziona e poi non metterci la faccia per provare a
cambiare o correggere quello che non va. Perché ritengo – forse
con supponenza – di aver maturato sensibilità verso le
problematiche del lavoro della nostra categoria, che, nonostante
tutto resta la professione più bella del mondo. Perché penso che
occorrano persone entusiaste e che hanno l'ambizione, la passione e
la volontà di cancellare le discrepanze, le ingiustizie, i paradossi
del nostro sindacato. Io questo entusiasmo, questa passione, questa
volontà reputo di averli. E insieme ritengo di aver acquisito pure
una parte di esperienza, trattando ai tavoli della mia Azienda,
confrontandomi con colleghi per i quali siamo riusciti a ottenere un
contratto dovuto e pure con coloro ai quali invece questo diritto non
è stato riconosciuto, sperimentando quotidianamente il significato
di stato di crisi, contratto di solidarietà, cassa integrazione,
disoccupazione, licenziamenti, precariato.
Vorrei innanzitutto che i giornalisti
siano considerati giornalisti e basta, non importa se assunti a tempo
indeterminato, determinato, con contratti co.co.co, co.co.pro, di
collaborazione, con partita Iva, con la funzione di redattore, da
corrispondente... perché giornalisti lo siamo tutti noi che viviamo
di giornalismo e per il giornalismo, allo stesso modo, con pari
dignità. E in nome di tutto questo tutti meritiamo di essere
tutelati, difesi, considerati. Vorrei pure che il sindacato dei
giornalisti sia il sindacato di tutti i giornalisti, specie di chi ha
bisogno, offrendo consulenza legale gratuita ove serva, costituendosi
parte in causa nelle aule della giustizia dove è necessario. Vorrei
allo stesso modo che il Circolo della stampa sia la casa dei
giornalisti, soprattutto di chi non ha un luogo dove scrivere,
lavorare, telefonare, collegarsi a internet, inviare fax, preparare
un servizio, non un luogo di un club esclusivo. Vorrei poi che il
sindacato torni ad essere sindacato, che tuteli i giornalisti
innanzitutto e che non si sostituisca agli editori: non significa
conflitto, significa distinzione dei ruoli, perché ognuno deve
assumersi le proprie responsabilità, non quelle di altri. E vorrei
tanto altro ancora: un compenso equo, come prevede la Costituzione,
pari opportunità non solo di genere, premio del merito, dialogo e
confronto con i componenti degli altri organismi di categoria, come
l'Ordine dei giornalisti...
Cambiare non solo si può, cambiare si
deve.
Ringrazio quindi chi mi ha nuovamente
offerto un'opportunità.
Io ci sono. E comunque vada lo
considererò un successo. Perché almeno ci tento, mi metto in gioco,
insieme ad altri che come me reputano che il “il lavoratore ha
diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità
del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla
famiglia un'esistenza libera e dignitosa”, ma pure che il lavoro
oltre a un diritto sia un dovere e chi il lavoro lo ha ha anche
il dovere di adoperarsi per chi purtroppo no.
Io ci sono. E voi ci state con me, anzi ci state con
noi?
domenica 26 ottobre 2014
Il posto... fesso
Il posto fisso non esiste più. Io,
noi, che pure il posto fisso come mosche bianche lo abbiamo ancora,
lo avevamo capito da tempo. Ne abbiamo visti a decine di colleghi
falcidiati dopo innumerevoli mesi di contratti a termine, anzi a
“scadenza”, come la maionese impazzita. Non numeri, ma persone,
con nomi, cognomi precisi, storie individuali, famiglie, aspettative,
sogni, professionalità grinta, passione, “uccisi” dai ladri di
futuro. E ogni giorno lavoriamo con collaboratori coordinati e
continuativi, collaboratori a progetto, collaboratori a partita Iva,
abusivi, semiabusivi, senza i quali molte pagine dei giornali,
cartacei e telematici, non potrebbero essere pubblicate. Ma anche noi
“tutelati” o “garantiti”, per ora privilegiati e fortunati
rispetto agli altri, non ci sentiamo più tanto “tutelati” o
“garantiti”. Prepensionamenti più o meno volontari, contratti di
solidarietà, cassaintegrazione, stati di crisi, trattative al
ribasso in nome della recessione e del difficile momento
dell'editoria hanno reso e rendono tutti precari. Il problema non è
il posto fisso, il problema è il posto, i posti, perché chi esce o
viene fatto uscire non riesce più a rientrare, non solo come
“tutelato”, ma nemmeno come precario. Credo che le riforme serie
non si realizzino abrogando le tutele, ammesso che ne esistano
ancora, né rivelando l'ovvio. Lo comprenderebbe anche un fesso come
me!
giovedì 16 ottobre 2014
Non sarà troppo?
Altro che equo compenso! Altro che
reddito minimo garantito! Altro che dignità dei giornalisti! Quelli
dell'amministrazione comunale di Campi Bisenzio, Firenze - centrosinistra naturalmente! -, cercano un
direttore responsabile per il giornalino municipale, che mi dicono
essere una testata storica nel settore. I requisiti? Essere un
giornalista professionista o pubblicista iscritto all'albo. Il
compenso? Udite udite: la bellezza di 50 euro al lordo delle ritenute
fiscali a numero, quattro pagine in formato A3. No, non è uno
scherzo, è tutto riportato sul sito internet dell'ente locale, cliccare per credere. A
trarre i conti verrà sì e no 600 euro, naturalmente lordi, in un
anno. Non sarà troppo? “E' la stampa, bellezza! E' la stampa! E tu
non ci puoi far niente! Niente!”
mercoledì 8 ottobre 2014
Il disequo scompenso alla sbarra, la corte si aggiorna
I magistrati del Tar del Lazio hanno fissato per gennaio l’udienza
sulla faccenda dell’equo compenso, che di equo e di compenso mi pare abbia
proprio nulla. Se infatti la proposta era nata con lo scopo di garantire delle
tariffe giuste ai giornalisti precari, con tutto quello che ciò implica sulla
libertà di informazione, democrazia e tutti questi bei principi, il documento
approvato poi dai capidelegazione del sindacato nazionale e degli editori non assicura niente di tutto ciò, né prezzi
adeguati al lavoro che si svolge né i precari, perché contiene tante e tali
formule che alla fine consentono ai proprietari dei mezzi di informazione di
pagare ancora meno. Mi riferisco ad esempio alle clausole che escludono le
partite Iva, oppure che prevedono tariffe decrescenti in base alle numero dei
pezzi scritti, o alla forfetizzazione… con il risultato che coloro che dovevano
essere maggiormente salvaguardati non lo saranno e che chi in qualche misura lo
era non lo sarà più. Chiunque svolga questo mestiere e conosce come girano le
cose nelle redazioni se ne sarebbe accorto, non quelli della Fnsi, che
evidentemente – come dimostrato dal referendum sul nuovo contratto nazionale –
ormai hanno perso ogni contatto (ma anche il contratto!!!) con chi dovrebbero rappresentare
.
Insomma l’equo compenso, successivamente definito reddito
minimo garantito (3mila euro all’anno reddito minimo garantito?!?), si dovrebbe
chiamare piuttosto disequo scompenso, come lo scompenso cardiaco che ha
provocato in quanti veramente ci hanno creduto .
Fortunatamente quello che non hanno capito i nostri
sindacalisti lo ha capito il presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo
Iacopino che ha presentato ricorso ai giudici del Tribunale amministrativo
regionale. Ebbene oggi, mercoledì 8 ottobre, a poche ore dal termine dellaGiornata del lavoro dignitosi, i togati hanno riaggiornato la trattazione della
questione tra tre mesi, pochi dati i tempi biblici della giustizia italica.
Evidentemente si sono fatti l’idea che sussistono elementi per spicciarsi.
Due aspetti però mi inquietano. Il “dopo” innanzitutto, nel
senso che non vorrei che l’equo compenso finisca nel dimenticatoio e nessuno ci
metta più mano. In ogni modo meglio nessuna legge che una cattiva legge.
Inoltre ho qualche perplessità sulla frattura tra esponenti della Fnsi e dell’Odg,
sancita dal ricorso presentato da questi ultimi. In un momento storico come
questo in cui tutti noi giornalisti siamo criticati, vituperati, minacciati
(magari anche per colpa di qualche collega che scredita l’intera categoria) un
poco più di unità non guasterebbe, non per corporativismo, ma per respingere
con più fermezza gli attacchi di chi pensa che l’articolo 21 della nostra
Costituzione sia da rottamare.
martedì 7 ottobre 2014
Il lavoro non dignitoso non è lavoro
In pochi lo sanno, ma oggi, il 7 ottobre , è la Giornata mondiale del lavoro dignitoso. Sandro Pertini diceva che non si può "considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro,che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli ed educarli". E ancora: "Questo non è un uomo libero. Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è libertà".
Parlare di lavoro dignitoso quando è già difficile parlare di lavoro pare quasi un paradosso. Eppure io credo che un lavoro non dignitoso non sia lavoro. E' sfruttamento, è ricatto, non è lavoro.
Ecco, io credo che non si possa considerare veramente libero un uomo che non ha un lavoro dignitoso, che è umiliato dal costante ricatto dalla crisi, che viene sfruttato in nome delle rischio della perdita del posto di lavoro. E questo purtroppo capita anche nei giornali, che dovrebbero essere i guardiani della democrazia, ma che spesso invece diventano il luogo del ricatto e dello sfruttamento.
Parlare di lavoro dignitoso quando è già difficile parlare di lavoro pare quasi un paradosso. Eppure io credo che un lavoro non dignitoso non sia lavoro. E' sfruttamento, è ricatto, non è lavoro.
Ecco, io credo che non si possa considerare veramente libero un uomo che non ha un lavoro dignitoso, che è umiliato dal costante ricatto dalla crisi, che viene sfruttato in nome delle rischio della perdita del posto di lavoro. E questo purtroppo capita anche nei giornali, che dovrebbero essere i guardiani della democrazia, ma che spesso invece diventano il luogo del ricatto e dello sfruttamento.
sabato 4 ottobre 2014
La droga della cronaca
Il giornalismo di cronaca ti succhia
l'anima, ti riempie la vita e insieme per la prosciuga. Non è
semplicemente una professione, è uno modo di esistere. Il cronista
non conoscere orari, sabati, domeniche, Natali, giorni festivi. La
strada, i bar, le caserme dei carabinieri, i commissariati, i
distaccamenti dei pompieri, le corsie d'ospedale, le aule dei
consigli comunali sono una seconda casa in cui spesso si trascorrere
più tempo di quella vera. Certo nel mio caso non sono le strade, le
caserme, i commissariati, distaccamenti, i reparti d'ospedale, i
palazzi del potere di Beirut, Gaza, degli altri posti dove si spara e
combatte e nemmeno di metropoli. Ma da queste strada, caserme,
commissariati, distaccamenti, ospedali, municipi passano spesso le
notizie che poi vengono riprese, copiate dai più illustri colleghi
dei mezzi di informazione nazionale: il missionario ucciso nelle
Filippine, Eluana Englaro, la mamma che pugnala il bambino piccolo,
quella che sgozza tre figlie in un solo colpo, Joele Leotta, le
indagini per mafia come “Metastasi”, le mazzette in cambio di
appalti, promozioni facili, convenzioni, concessioni edilizie...
Spesso mi chiedo se ne valga la pena,
specie dopo che quattro miei colleghi che hanno dimostrato di
meritare un posto di lavoro, di avere diritto al posto di lavoro,
quel posto che si sono meritati e di cui avevano diritto lo hanno
perso. A giudicare dallo stipendio no, tanto meno a giudicare da
quello dei colleghi che prendono meno di me. Non serve nemmeno per la
carriera, chi esce dalle scuole di giornalismo o dagli stage ha molte più possibilità di me di
finire in redazione, ottenere un contratto con compensi molto più
alti e benefit che per me sono più lontani di un miraggio. Anche la
considerazione gioca contro: a causa di pochi colleghi tutta la
categoria dei giornalisti viene messa sempre in discussione ed è
ritenuta poco credibile. Per non parlare delle querele, degli
insulti, delle minacce... Chi fa il mio mestiere, quello di corrispondente locale, di cronista di provincia, conosce bene tutto ciò, agli altri è inutile
spiegarlo, tanto non comprenderebbero mai.
E allora: ne vale la pena? Forse no,
non ne vale la pena. Ma non conoscono altri modi. Perchè è come una
droga, una dipendenza, una malattia dell'animo, perchè è un modo di
esistere e di essere. Perchè il cronista questa fa. E chissenefrega
dello stipendio da fame, della considerazione altrui, delle cause,
dei paraculati che passano sempre avanti senza nemmeno accorgersi di
aver vinto alla lotteria pur non avendo fatto la fatica di comperare
il biglietto. Ne vale la pena? Per gli altri non lo so, per me sì,
per me, almeno per ora. Mi piacerebbe solo che la possibilità di
continuare svolgere questo sporco e insieme fantastico lavoro venisse
assicurata a chi per questo lavoro ha dimostrato di avere la stoffa,
ecco magari con qualche garanzia in più, e soprattutto maggior
rispetto da parte di tutti, specialmente da parte di chi la cronaca
non l'ha mai vissuta.
martedì 30 settembre 2014
I "sommersi" e i "salvati"
I sommersi e i salvati. O la lotteria del posto di lavoro, come la ruota della fortuna. Dovrei essere contento oggi, tre colleghi, dopo anni e anni di contratti a termine, precariato, anzi sfruttamento in cambio di illusioni, sono stati finalmente assunti definitivamente, per quanto abbia senso parlare di "definitivo" o posto fisso di questi tempi. Dovrei essere contento. Dovrei. Ma non lo sono.
Altri due colleghi, stessi anni di contratti a termine, precariato, anzi sfruttamento in cambio di illusioni, l'assunzione non l'hanno ottenuta. I ladri di sogni hanno colpito ancora. I motivi della scelta, della discriminazione, non li conosco, temo non ne esistano. Meritano tutti il posto. Anzi, hanno tutti diritto in egual misura al posto. Così non è. Non ancora, quando succederà, se succederà, sarà comunque troppo tardi.
Esuberi, esodi, costi, così li chiamano, non risorse, non professionalità. Non persone. Spremuti come limoni sino allo stremo, di notte, la domenica, durante l'estate, con compensi da fame, meno che da generazione mille euro. E poi presi a calci in culo.
Dovrei essere contento e lo sono per i "salvati". Dovrei essere contento. Dovrei. Ma non lo sono. Per chi è ancora "sommerso", sprofondato nell'umiliazione di un diritto al posto di lavoro e di un diritto del lavoro negati. Senza che chi avrebbe dovuto "salvare" anche loro, anzi avrebbe dovuto pretendere e ottenere di "salvare" anche loro, me compreso come loro fiduciario e componente del CdR, abbia potuto nulla, o sia stato in grado di ottenere nulla di piu', in un misto di senso di impotenza e di incapacità.
Non cambia nulla, le parole accrescono solo beffa alla beffa, ma mi sento pure io "sommerso". La lotteria l'ho persa anche io, il gioco era truccato, il banco vince sempre, eppure mi ero illuso che una volta tanto le regole sarebbero state rispettate e cioè che è peggio, imperdonabile, ho illuso anche i colleghi.
Altri due colleghi, stessi anni di contratti a termine, precariato, anzi sfruttamento in cambio di illusioni, l'assunzione non l'hanno ottenuta. I ladri di sogni hanno colpito ancora. I motivi della scelta, della discriminazione, non li conosco, temo non ne esistano. Meritano tutti il posto. Anzi, hanno tutti diritto in egual misura al posto. Così non è. Non ancora, quando succederà, se succederà, sarà comunque troppo tardi.
Esuberi, esodi, costi, così li chiamano, non risorse, non professionalità. Non persone. Spremuti come limoni sino allo stremo, di notte, la domenica, durante l'estate, con compensi da fame, meno che da generazione mille euro. E poi presi a calci in culo.
Dovrei essere contento e lo sono per i "salvati". Dovrei essere contento. Dovrei. Ma non lo sono. Per chi è ancora "sommerso", sprofondato nell'umiliazione di un diritto al posto di lavoro e di un diritto del lavoro negati. Senza che chi avrebbe dovuto "salvare" anche loro, anzi avrebbe dovuto pretendere e ottenere di "salvare" anche loro, me compreso come loro fiduciario e componente del CdR, abbia potuto nulla, o sia stato in grado di ottenere nulla di piu', in un misto di senso di impotenza e di incapacità.
Non cambia nulla, le parole accrescono solo beffa alla beffa, ma mi sento pure io "sommerso". La lotteria l'ho persa anche io, il gioco era truccato, il banco vince sempre, eppure mi ero illuso che una volta tanto le regole sarebbero state rispettate e cioè che è peggio, imperdonabile, ho illuso anche i colleghi.
lunedì 29 settembre 2014
La sconfitta del sindacato, la sconfitta dei giornalisti
“Nelle giornate di venerdi 26 e sabato 27 settembre nella sede
dell’Alg in Viale Monte Santo si sono svolte le elezioni per il
referendum sul contratto FNSI-FIEG. Su 9382 aventi diritto al voto
hanno votato 35 colleghi. Il verbale della Commissione Elettorale e
le schede votate sono state trasmesse alla Federazione della Stampa”.
Recita così un laconico comunicato stampa pubblicato sul sito
dell'Associazione Lombarda Giornalisti circa il referendum
dell'ultimo fine settimana sul nuovo contratto nazionale del lavoro
giornalistico. Di conoscere il risultato non è dato. Si tratta
comunque di una sconfitta. Per tutti. Per il sindacato. Per i
giornalisti. Hanno vinto invece lo sconforto e la mancanza di
partecipazione, la mia compresa, ho preferito quattro giorni al mare.
Credo che sia giunto il tempo che in questo periodo difficile tutti
si rimbocchino le maniche, specialmente coloro che, come me, sono
tutelati per garantire le stesse tutele a chi non lo è. Bisogna
tornare a fare sindacato, bisogna tornare a interessarsi del
sindacato, bisogna tornare a metterci la faccia e sporcarsi le mani.
Iscrivendosi al sindacato innanzitutto. E poi candidandosi in massa e pretendere che chi verrà eletto renda conto di quanto fa, spieghi le ragioni delle scelte – magari sbagliate ma magari anche inevitabili, forse addirittura giuste, non lo so -. E lo faccia redazione per redazione, ufficio di corrispondenza per ufficio per corrispondenza, provincia per provincia, tramite Facebook, Twetter, i blog, siti dedicati, newsletter, incontri a cui probabilmente si presenteranno in quattro gatti, ma si deve per forza ricominciare a parlare e confrontarsi, faccia a faccia, collega per collega.
Chi ha un contratto, uno stipendio garantito, dei diritti assicurati ha l'obbligo morale di dedicare parte del proprio tempo e delle sue energie anche a questo, per ascoltare, per comprendere, per lasciarsi commuovere dalla condizione di un esercito di colleghi obbligati a sopportare condizioni che rasentano lo schiavismo e il ricatto, perchè di colleghi si tratta, di persone con pari dignità, non di figli di un dio minore solo perchè hanno avuto la “sfortuna” di nascere dopo, di non conoscere nessuno, di non avere mentori.
E chi ha fallito, chi ci ha portato a percentuali di partecipazione a dir poco imbarazzanti, deve farsi da parte, accettare ruoli di secondo piano, limitarsi a consigliare, guidare, trasmettere l'esperienza importante maturata. Non perchè non ha fatto bene, non perchè ha fatto male, non ho le competenze per giudicare, ma perchè non ha comunicato, non ha coinvolto, non ha condiviso. Perchè ha allontanato i giornalisti dal sindacato, che invece deve essere la casa di tutti, specialmente di chi un tetto - rappresentanto da certezze contributive e retributive, da prospettive di lavoro, dal sogno di futuro - non lo ha.
Dobbiamo riprenderci il fututo che ci è stato rubato anche per colpa nostra, perché abbiamo permesso che il futuro ce lo rubassero.
Iscrivendosi al sindacato innanzitutto. E poi candidandosi in massa e pretendere che chi verrà eletto renda conto di quanto fa, spieghi le ragioni delle scelte – magari sbagliate ma magari anche inevitabili, forse addirittura giuste, non lo so -. E lo faccia redazione per redazione, ufficio di corrispondenza per ufficio per corrispondenza, provincia per provincia, tramite Facebook, Twetter, i blog, siti dedicati, newsletter, incontri a cui probabilmente si presenteranno in quattro gatti, ma si deve per forza ricominciare a parlare e confrontarsi, faccia a faccia, collega per collega.
Chi ha un contratto, uno stipendio garantito, dei diritti assicurati ha l'obbligo morale di dedicare parte del proprio tempo e delle sue energie anche a questo, per ascoltare, per comprendere, per lasciarsi commuovere dalla condizione di un esercito di colleghi obbligati a sopportare condizioni che rasentano lo schiavismo e il ricatto, perchè di colleghi si tratta, di persone con pari dignità, non di figli di un dio minore solo perchè hanno avuto la “sfortuna” di nascere dopo, di non conoscere nessuno, di non avere mentori.
E chi ha fallito, chi ci ha portato a percentuali di partecipazione a dir poco imbarazzanti, deve farsi da parte, accettare ruoli di secondo piano, limitarsi a consigliare, guidare, trasmettere l'esperienza importante maturata. Non perchè non ha fatto bene, non perchè ha fatto male, non ho le competenze per giudicare, ma perchè non ha comunicato, non ha coinvolto, non ha condiviso. Perchè ha allontanato i giornalisti dal sindacato, che invece deve essere la casa di tutti, specialmente di chi un tetto - rappresentanto da certezze contributive e retributive, da prospettive di lavoro, dal sogno di futuro - non lo ha.
Dobbiamo riprenderci il fututo che ci è stato rubato anche per colpa nostra, perché abbiamo permesso che il futuro ce lo rubassero.
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