sabato 4 ottobre 2014

La droga della cronaca

Il giornalismo di cronaca ti succhia l'anima, ti riempie la vita e insieme per la prosciuga. Non è semplicemente una professione, è uno modo di esistere. Il cronista non conoscere orari, sabati, domeniche, Natali, giorni festivi. La strada, i bar, le caserme dei carabinieri, i commissariati, i distaccamenti dei pompieri, le corsie d'ospedale, le aule dei consigli comunali sono una seconda casa in cui spesso si trascorrere più tempo di quella vera. Certo nel mio caso non sono le strade, le caserme, i commissariati, distaccamenti, i reparti d'ospedale, i palazzi del potere di Beirut, Gaza, degli altri posti dove si spara e combatte e nemmeno di metropoli. Ma da queste strada, caserme, commissariati, distaccamenti, ospedali, municipi passano spesso le notizie che poi vengono riprese, copiate dai più illustri colleghi dei mezzi di informazione nazionale: il missionario ucciso nelle Filippine, Eluana Englaro, la mamma che pugnala il bambino piccolo, quella che sgozza tre figlie in un solo colpo, Joele Leotta, le indagini per mafia come “Metastasi”, le mazzette in cambio di appalti, promozioni facili, convenzioni, concessioni edilizie...
Spesso mi chiedo se ne valga la pena, specie dopo che quattro miei colleghi che hanno dimostrato di meritare un posto di lavoro, di avere diritto al posto di lavoro, quel posto che si sono meritati e di cui avevano diritto lo hanno perso. A giudicare dallo stipendio no, tanto meno a giudicare da quello dei colleghi che prendono meno di me. Non serve nemmeno per la carriera, chi esce dalle scuole di giornalismo o dagli stage ha molte più possibilità di me di finire in redazione, ottenere un contratto con compensi molto più alti e benefit che per me sono più lontani di un miraggio. Anche la considerazione gioca contro: a causa di pochi colleghi tutta la categoria dei giornalisti viene messa sempre in discussione ed è ritenuta poco credibile. Per non parlare delle querele, degli insulti, delle minacce... Chi fa il mio mestiere, quello di corrispondente locale, di cronista di provincia, conosce bene tutto ciò, agli altri è inutile spiegarlo, tanto non comprenderebbero mai.
E allora: ne vale la pena? Forse no, non ne vale la pena. Ma non conoscono altri modi. Perchè è come una droga, una dipendenza, una malattia dell'animo, perchè è un modo di esistere e di essere. Perchè il cronista questa fa. E chissenefrega dello stipendio da fame, della considerazione altrui, delle cause, dei paraculati che passano sempre avanti senza nemmeno accorgersi di aver vinto alla lotteria pur non avendo fatto la fatica di comperare il biglietto. Ne vale la pena? Per gli altri non lo so, per me sì, per me, almeno per ora. Mi piacerebbe solo che la possibilità di continuare svolgere questo sporco e insieme fantastico lavoro venisse assicurata a chi per questo lavoro ha dimostrato di avere la stoffa, ecco magari con qualche garanzia in più, e soprattutto maggior rispetto da parte di tutti, specialmente da parte di chi la cronaca non l'ha mai vissuta.

1 commento:

  1. e' vero e' un po' una morfina, ma non si vive facendo il cronista, ormai se non hai una seconda attivita' e' dura.

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