Il giornalismo di cronaca ti succhia
l'anima, ti riempie la vita e insieme per la prosciuga. Non è
semplicemente una professione, è uno modo di esistere. Il cronista
non conoscere orari, sabati, domeniche, Natali, giorni festivi. La
strada, i bar, le caserme dei carabinieri, i commissariati, i
distaccamenti dei pompieri, le corsie d'ospedale, le aule dei
consigli comunali sono una seconda casa in cui spesso si trascorrere
più tempo di quella vera. Certo nel mio caso non sono le strade, le
caserme, i commissariati, distaccamenti, i reparti d'ospedale, i
palazzi del potere di Beirut, Gaza, degli altri posti dove si spara e
combatte e nemmeno di metropoli. Ma da queste strada, caserme,
commissariati, distaccamenti, ospedali, municipi passano spesso le
notizie che poi vengono riprese, copiate dai più illustri colleghi
dei mezzi di informazione nazionale: il missionario ucciso nelle
Filippine, Eluana Englaro, la mamma che pugnala il bambino piccolo,
quella che sgozza tre figlie in un solo colpo, Joele Leotta, le
indagini per mafia come “Metastasi”, le mazzette in cambio di
appalti, promozioni facili, convenzioni, concessioni edilizie...
Spesso mi chiedo se ne valga la pena,
specie dopo che quattro miei colleghi che hanno dimostrato di
meritare un posto di lavoro, di avere diritto al posto di lavoro,
quel posto che si sono meritati e di cui avevano diritto lo hanno
perso. A giudicare dallo stipendio no, tanto meno a giudicare da
quello dei colleghi che prendono meno di me. Non serve nemmeno per la
carriera, chi esce dalle scuole di giornalismo o dagli stage ha molte più possibilità di me di
finire in redazione, ottenere un contratto con compensi molto più
alti e benefit che per me sono più lontani di un miraggio. Anche la
considerazione gioca contro: a causa di pochi colleghi tutta la
categoria dei giornalisti viene messa sempre in discussione ed è
ritenuta poco credibile. Per non parlare delle querele, degli
insulti, delle minacce... Chi fa il mio mestiere, quello di corrispondente locale, di cronista di provincia, conosce bene tutto ciò, agli altri è inutile
spiegarlo, tanto non comprenderebbero mai.
E allora: ne vale la pena? Forse no,
non ne vale la pena. Ma non conoscono altri modi. Perchè è come una
droga, una dipendenza, una malattia dell'animo, perchè è un modo di
esistere e di essere. Perchè il cronista questa fa. E chissenefrega
dello stipendio da fame, della considerazione altrui, delle cause,
dei paraculati che passano sempre avanti senza nemmeno accorgersi di
aver vinto alla lotteria pur non avendo fatto la fatica di comperare
il biglietto. Ne vale la pena? Per gli altri non lo so, per me sì,
per me, almeno per ora. Mi piacerebbe solo che la possibilità di
continuare svolgere questo sporco e insieme fantastico lavoro venisse
assicurata a chi per questo lavoro ha dimostrato di avere la stoffa,
ecco magari con qualche garanzia in più, e soprattutto maggior
rispetto da parte di tutti, specialmente da parte di chi la cronaca
non l'ha mai vissuta.
e' vero e' un po' una morfina, ma non si vive facendo il cronista, ormai se non hai una seconda attivita' e' dura.
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