giovedì 8 gennaio 2015

#JeSuisCharlie, tutti i giorni


Non riesco a togliermi dagli occhi le immagini di quel terrorista che fredda a terra il poliziotto inerme (a proposito, era proprio necessario mostrarle, qualcuno ha considerato il dolore e l'angoscia che certamente hanno provocato in familiari, amici, colleghi?) e a non pensare a quello che è accaduto al direttore, agli artisti, ai giornalisti e ai collaboratori di Charlie Hebdo. Credo che la redazione sia un luogo sacro per quello che rappresenta, come una chiesa, un tempio, per gli ospiti e per chi ne appartiene. Non ci ho dormito la notte e non ci dormirò le prossime, come è giusto che sia, perché non si può, non si deve rimanere immuni a simili accadimenti.
In queste ore sento continuamente usare e abusare delle espressioni “libertà di informazione”, “diritto di cronaca”, “libertà di stampa”... Eppure solo ora, che dodici persone sono state ammazzate, si riflette su quello che significano e sulla loro importanza. Ma tutti i giorni, ovunque, anche in Italia, la libertà di informazione e di stampa viene minata.
Succede quando un giornalista viene sottopagato e sfruttato, lasciandolo abbandonato e inerme. Succede quando un sindaco di un paese non permette di accedere agli atti pubblici o addirittura – come è capitato a me - vieta a un giornalista di entrare in municipio. Succede quando un direttore impone o bandisce un articolo a un giornalista . Succede quando un ufficiale dei carabinieri o delle altre forze dell'ordine – come ho sperimentato più volte personalmente – telefona a un giornalista per vietare la pubblicazione di una notizia. Succede quando a un giornalista gli editori impongono di patteggiare una condanna in un processo per diffamazione perché costa meno che dimostrarne l'innocenza e la correttezza dell'operato in giudizio. Succede quando un magistrato convoca in procura in maniera pretestuosa come persona informata sui fatti solo per “punirlo” di aver scritto di un'indagine in corso – anche questo mi è toccato parecchie volte -. Succede quando un giornalista è pagato a cottimo. Succede quando un giornalista si scaglia contro un altro giornalista, pone in difficoltà in collega semplicemente perché gli “tira buchi”...
E succede quando non si comprano più i giornali, ritenendo che l'informazione debba essere gratuita, non solo per chi la legge ma anche per chi ci lavora.
Quotidianamente i giornalisti vengono non uccisi, ma certamente umiliati, mortificati, dai politici anche locali, dai potenti di turno, dai lettori, dai loro stessi colleghi, da chi dovrebbe rappresentarli e invece non li rappresenta e non li tutela.
In fondo è proprio vero, tanti giornalisti sono – siamo – Charlie Hebdo. Tutti i giorni, non solo quando si arriva all'estremo di morire trucidati.
E allora ogni tanto ricordiamoci di comperare un giornale, almeno qualche giorno a settimane, perché significa sostenere concretamente la libertà di stampa, la libertà di informazione, il diritto di critica e il dovere di cronaca e quanti hanno reso questi valori non solo una professione ma una ragione di vita, purtroppo in alcuni casi anche di morte.

venerdì 2 gennaio 2015

Quelli che la crisi la fanno pagare sempre agli altri

Lo hanno convocato per annunciargli il taglio netto d'ufficio del 20% delle già misere tariffe. O prendere o lasciare. Lui, garbatamente, ha declinato la proposta e si è dimesso, per salvare la dignità umana e professionale che non hanno prezzo. Due amici e colleghi fotoreporter – come lui – per evitare che rimanesse disoccupato hanno deciso di proporre un ulteriore taglio delle loro di tariffe rispetto al 20% imposto anche a loro a patto che la differenza venisse utilizzata per garantire un compenso maggiore a lui. E' successo in un importante gruppo editoriale lombardo, non quello per il quale lavoro io. Quello che è successo segna la differenza tra chi la crisi e gli errori li fa pagare sempre solo a chi lavora – dipendenti e non, come nel caso dei fotografi - e chi, in un sussulto incredibile di solidarietà e umanità, è disposto a rinunciare ulteriormente del proprio per “salvare” un collega, senza clamore.