domenica 19 aprile 2015

I capri espiatori

Un collega fotoreporter a Varenna è stato picchiato da un carabiniere fuori servizio che ha tentato anche di rubargli la macchina fotografica, mentre un altro in servizio lo ha insultato. “Sei una sciacallo, non ti vergogni di speculare sul dolore delle persone per due ore! Sei un morto di fame”, gli avrebbe urlato. Il reporter, che stava documentando la scena di un incidente stradale mortale, in realtà si è comportato in maniera opposta: intuita la situazione di tensione e per rispetto della vittima e dei suoi amici si è subito ritirato in buon ordine, evitando di ritrarre il corpo senza vita steso a terra. A Roma due colleghi giornalisti de Il Giorno sono stati “sequestrati” dagli agenti di scorta del sindaco Ignazio Marino senza che quest'ultimo si sia degnato di intervenire. Che si tratti di operatori delle forzedell'ordine aggrava ulteriormente la gravità di quanto accaduto, ma in fondo è a mio avviso una considerazione marginale.
Il problema, sempre secondo me, è semmai il clima di avversione che si sta ingenerando verso chi opera nel panorama dell'informazione. Cert,o a volte siamo proprio non giornalisti ad attuare comportamenti che non ci aiutano a conquistare la fiducia dei cittadini. Eppure, nella maggior parte delle circostanze, credo che torni comodo ai potenti di turno indicarci come “capri espiatori” in nome della privacy, un concetto che viene alimentato come un mostro al di fuori da ogni logica giuridica, di cui tutti parlano ma di cui pochi conoscono i contenuti e le prescrizioni.
Del resto è molto più comodo puntare il dito contro i giornalisti piuttosto che risolvere i problemi che testimoniamo con il nostro lavoro. Quando si riportano intercettazioni che “smascherano” il ministro il punto così non è più il comportamento del ministro, ma semmai del perché sia consentito al giornalista “smascherarlo”. Lo stesso capita quando si riportano di comportamenti dubbi di pubblico rilievo di altri politici, amministratori locali, funzionari statali o municipali, di giudici, magistrati, avvocati, “mele marce” delle forze dell'ordine, privati cittadini.
Purtroppo coloro che ci governano, oggi come ieri, sembra non facciano altro che fomentare tali risentimenti, “contagiano” con populismi e damagogie anche gli elettori. Per costoro del resto è meglio che le persone se la prendano con noi giornalisti – che a volte ci sovraesponiamo e travalichiamo il nostro ruolo, inutile nagarlo – invece che con loro...
Forse è giunto il momento che almeno su questi temi tutti noi si tralascino le divisioni legate a correnti, testate, concorrenza, inquadramenti contrattuali, mansioni, ruoli e provi a fare fronte comume. 

giovedì 9 aprile 2015

(Dis)Equo compenso, la disfatta del nostro sindacato

I giudici del Tar del Lazio hanno difatto annullato la delibera sul (dis)equo compenso. In molti, specie tra noi che costituiamo le fila dell'Ordine, abbiamo parlato di vittoria e ne comprendo le motivazioni, se non fosse stato per il nostro Presidente del Cnog Enzo Iacopino (che Dio lo benedica per la sua lungimiranza e ce lo conservi a lungo) quell'accordo-farsa sarebbe divenuto la norma di riferimento i tra i collaboratori dei giornali.
Eppure non riesco a gioire e ritengo ci sia poco da esultare.
Continuo a chiedermi come sia stato possibile che coloro che dovrebbero tutelare gli interessi contrattuali e la dignità professionale dei giornalisti, cioè i delegati della Fnsi, abbiamo potuto firmare un'intesa palesemente abominevole, che avrebbe equiparato il mestiere dell'informazione al cottimo, roba da discount delle notizie, e avrebbe avvallato che tremila e vattelapesca euro lordi all'anno siano tutto sommato una cifra accettabile per garantire la dignità di noi scribacchini.
No, davvero non c'è da festeggiare. Si tratta dell'ennesima dimostrazione dell'incapacità dei nostri rappresentanti sindacali di assolvere al compito per il quale loro stessi si sono proposti, perchè mica lo ha imposto il medico a lor signori di farsi eleggere. Anche i vari ministri, sottosegretari e funzionari governativi in verità non ne escono benee hanno uno strano concetto di equo compenso...
Dal sindacato dovrebbero tornare a fare il sindacato, smetterla di sostituirsi agli editori, di illudersi che con gli accordi interni riusciranno a salvare l'editoria e le aziende editoriali. I soldi gli editori – e lo capisco, sono soldi loro -,per chi vogliono li trovano. E allora che li trovino anche per noi cinesi dell'informazione che permettiamo ai loro giornali, alle loro riviste, ai loro telegiornali di essere pubblicati e trasmessi. Troppo comodo altrimenti far pagare i rischi del rischio di impresa ai chi lavora per loro e beneficiare da soli dei guadagni del rischio di impresa di cui altri pagano il prezzo.
Ma per fortuna che anche questa volta, dove non è arrivato chi di dovere, cioè la Fnsi, è arrivato l'Ordine dei giornalisti, una magra consolazione che evidenzia ancora di più il desolante panorama degli organismi di rappresentanza sindacale.

giovedì 8 gennaio 2015

#JeSuisCharlie, tutti i giorni


Non riesco a togliermi dagli occhi le immagini di quel terrorista che fredda a terra il poliziotto inerme (a proposito, era proprio necessario mostrarle, qualcuno ha considerato il dolore e l'angoscia che certamente hanno provocato in familiari, amici, colleghi?) e a non pensare a quello che è accaduto al direttore, agli artisti, ai giornalisti e ai collaboratori di Charlie Hebdo. Credo che la redazione sia un luogo sacro per quello che rappresenta, come una chiesa, un tempio, per gli ospiti e per chi ne appartiene. Non ci ho dormito la notte e non ci dormirò le prossime, come è giusto che sia, perché non si può, non si deve rimanere immuni a simili accadimenti.
In queste ore sento continuamente usare e abusare delle espressioni “libertà di informazione”, “diritto di cronaca”, “libertà di stampa”... Eppure solo ora, che dodici persone sono state ammazzate, si riflette su quello che significano e sulla loro importanza. Ma tutti i giorni, ovunque, anche in Italia, la libertà di informazione e di stampa viene minata.
Succede quando un giornalista viene sottopagato e sfruttato, lasciandolo abbandonato e inerme. Succede quando un sindaco di un paese non permette di accedere agli atti pubblici o addirittura – come è capitato a me - vieta a un giornalista di entrare in municipio. Succede quando un direttore impone o bandisce un articolo a un giornalista . Succede quando un ufficiale dei carabinieri o delle altre forze dell'ordine – come ho sperimentato più volte personalmente – telefona a un giornalista per vietare la pubblicazione di una notizia. Succede quando a un giornalista gli editori impongono di patteggiare una condanna in un processo per diffamazione perché costa meno che dimostrarne l'innocenza e la correttezza dell'operato in giudizio. Succede quando un magistrato convoca in procura in maniera pretestuosa come persona informata sui fatti solo per “punirlo” di aver scritto di un'indagine in corso – anche questo mi è toccato parecchie volte -. Succede quando un giornalista è pagato a cottimo. Succede quando un giornalista si scaglia contro un altro giornalista, pone in difficoltà in collega semplicemente perché gli “tira buchi”...
E succede quando non si comprano più i giornali, ritenendo che l'informazione debba essere gratuita, non solo per chi la legge ma anche per chi ci lavora.
Quotidianamente i giornalisti vengono non uccisi, ma certamente umiliati, mortificati, dai politici anche locali, dai potenti di turno, dai lettori, dai loro stessi colleghi, da chi dovrebbe rappresentarli e invece non li rappresenta e non li tutela.
In fondo è proprio vero, tanti giornalisti sono – siamo – Charlie Hebdo. Tutti i giorni, non solo quando si arriva all'estremo di morire trucidati.
E allora ogni tanto ricordiamoci di comperare un giornale, almeno qualche giorno a settimane, perché significa sostenere concretamente la libertà di stampa, la libertà di informazione, il diritto di critica e il dovere di cronaca e quanti hanno reso questi valori non solo una professione ma una ragione di vita, purtroppo in alcuni casi anche di morte.

venerdì 2 gennaio 2015

Quelli che la crisi la fanno pagare sempre agli altri

Lo hanno convocato per annunciargli il taglio netto d'ufficio del 20% delle già misere tariffe. O prendere o lasciare. Lui, garbatamente, ha declinato la proposta e si è dimesso, per salvare la dignità umana e professionale che non hanno prezzo. Due amici e colleghi fotoreporter – come lui – per evitare che rimanesse disoccupato hanno deciso di proporre un ulteriore taglio delle loro di tariffe rispetto al 20% imposto anche a loro a patto che la differenza venisse utilizzata per garantire un compenso maggiore a lui. E' successo in un importante gruppo editoriale lombardo, non quello per il quale lavoro io. Quello che è successo segna la differenza tra chi la crisi e gli errori li fa pagare sempre solo a chi lavora – dipendenti e non, come nel caso dei fotografi - e chi, in un sussulto incredibile di solidarietà e umanità, è disposto a rinunciare ulteriormente del proprio per “salvare” un collega, senza clamore.

venerdì 28 novembre 2014

Se questo è un... giornalista

Voi che leggete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate uscendo al mattino
l'edicola e il giornale:
considerate se questo è un giornalista
che lavora nel fango che non conosce ore
che lotta per un articolo
che scrive per otto euro.

martedì 25 novembre 2014

Concorrenza "sleale"


Carta e internet. Due mondi dell'informazione antitetici, in concorrenza, ma impari. Mentre per comperare il giornale bisogna uscire di casa, recarsi in edicola e sborsare quasi un euro e mezzo, per leggere un giornale web basta accendere il pc senza sborsare un centesimo. Ma la differenza non sta solo nella gratuità, anzi probabilmente si tratta dell'aspetto meno importante, ci sono anche tanti free press. La discriminante a mio avviso sono i contratti di chi opera per le testate tradizionali e i contratti – o meglio i non contratti – di quanti prestano servizi nei vari giornali online, sebbene regolarmente registrati in tribunale.
Il mio editore infatti mi ha assunto, contrattualizzato, inquadrato professionalmente per la mansione che svolgo e per me paga contributi e oneri. Tanti di coloro che invece lavorano in giornali telematici proseguono a co.co.co., co.co.pro, partite Iva, nonostante fungano contenmporaneamente da collaboratori, corrispondenti, redattori, caposervizio, grafici e tipografi. E così il confronto non regge.
Tutto regolare a quanto pare per carità, ma non va bene lo stesso. Non capisco infatti perchè un editore che investe nei media canonici e con esso i suoi dipendenti debbano sottostare a precise e spesso costose regole, mentre chi punta sull'informazione virtuale no, pur trattandosi spesso appunto di organi di stampa registrati in tribunale. E' roba da concorrenza cinese, con tutto il rispetto per i cinesi e i colleghi dell'online a cui spesso tutti noi attingiamo per riproporre notizie che corrono in rete, trovate e scritte proprio da questi colleghi
E non capisco perché il nostro sindacato su questo tema non sia mai intervenuto: si ridurrebbe il precariato, si recupererebbero risorse per gli istituti previdenziali, si garantirebbe finalmente parità di trattamento. Perché giornalista lo è chi svolge questa professione, indipendentemente da dove si scriva... Perché il lavoro è reale, sempre, e anche gli articoli che si scrivono e i servizi che si propongono.

domenica 23 novembre 2014

Nominano il generale, congedano i soldati


Ragionando con uncollega ho compreso forse perché sia stat nominato direttore editoriale di un noto giornale il dottor Bruno Vespa, di cui non si mette assolutamente in discussione la professionalità né la capacità di trainare le testate che dirigerà dall'1 dicembre fuori dal pantano della crisi dell'informazione cartacea, certamente io non lo faccio. Si ragionava e si pensava con questo collega che magari, dopo anni e anni di collaborazione, abbiano deciso di regolarizzare la sua posizione, nonostante abbia ormai valicato la soglia delle settanta primavere e goda, si presume, di un'appropriata e meritata pensione
Ma c'è chi può e chi non può...
Peccato infatti non siano stati in qualche modo regolarizzati o stabilizzati quei corrispondenti e quei redattori con contratto a termine che al contratrio sono rimasti a casa, nonostante gli anni di più che onorato servizio, nonostante tutti i giorni da lustri contribuiscano in maniera determinante all'uscita dei del medesimo giornale in edicola, nonostante probabilmente con il compenso del nuovo direttore editoriale già pensionato si sarebbe potuto pagare almeno quattro o cinque – per stare basso – dei loro stipendi.
E così si nomina un nuovo generale, ma senza esercito, perché i soldati, i fanti li si congeda con un semplice “è stato bello, arrivederci”, senza nemmeno un grazie.
Temo pagherò tutto questo, non importa, non sarebbe la prima volta, è già successo, ma forse è tempo che tutti ci mettano faccia e chiappe, il nostro di volto, il nostro di sedere. Per provare almeno a cambiare l'andazzo: le nostre battaglie dobbiamo combatterle noi per primi.