Il posto fisso non esiste più. Io,
noi, che pure il posto fisso come mosche bianche lo abbiamo ancora,
lo avevamo capito da tempo. Ne abbiamo visti a decine di colleghi
falcidiati dopo innumerevoli mesi di contratti a termine, anzi a
“scadenza”, come la maionese impazzita. Non numeri, ma persone,
con nomi, cognomi precisi, storie individuali, famiglie, aspettative,
sogni, professionalità grinta, passione, “uccisi” dai ladri di
futuro. E ogni giorno lavoriamo con collaboratori coordinati e
continuativi, collaboratori a progetto, collaboratori a partita Iva,
abusivi, semiabusivi, senza i quali molte pagine dei giornali,
cartacei e telematici, non potrebbero essere pubblicate. Ma anche noi
“tutelati” o “garantiti”, per ora privilegiati e fortunati
rispetto agli altri, non ci sentiamo più tanto “tutelati” o
“garantiti”. Prepensionamenti più o meno volontari, contratti di
solidarietà, cassaintegrazione, stati di crisi, trattative al
ribasso in nome della recessione e del difficile momento
dell'editoria hanno reso e rendono tutti precari. Il problema non è
il posto fisso, il problema è il posto, i posti, perché chi esce o
viene fatto uscire non riesce più a rientrare, non solo come
“tutelato”, ma nemmeno come precario. Credo che le riforme serie
non si realizzino abrogando le tutele, ammesso che ne esistano
ancora, né rivelando l'ovvio. Lo comprenderebbe anche un fesso come
me!
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